Può un uomo educare un altro uomo



Educazione: vita di geuppo non è terapia

Può un uomo educare un altro uomo?



"Sai che là corre il mondo ove più versi
di sue dolcezze il lusinghier,
e che `l vero, condito in molli versi,
i più schivi allettando ha persuaso.
Così a l'egro fanciul porgiam aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ci beve,
e da l'inganno suo vita riceve"
(T. Tasso, la Gerusalemme Liberata, I, 3)

E'una poetica dichiarazione di idealità e metodologia pedagogica.

La vita è dura; lo sforzo viene respinto; facciamolo accettare attraverso un inganno: a cose fatte e a crescita avvenuta, il giovane sarà lieto del suo cambiamento.

Una crescita, dunque, indotta, quasi trafugata e camuffata. Ma sarebbe vera crescita?

Già qualche altro, alcuni secoli prima, sarebbe stato di opinione differente: gran pensatore e gran maestro, ma anche gran ostinato, tanto da non temere i rimproveri del vescovo di Parigi Stefano Tempier allorché fu chiamato, eccezionalmente, ad insegnare per la seconda volta (1270-72) nella neonata (1253) Sorbona dal nome del suo architetto Robert de Sorbon, confessore del santo re Luigi IX.

E lui domenicano, con una vocazione messa a dura prova, dagli ostacoli dei nobili genitori e parenti giunti a rapirlo dal convento a scopo dissuasorio, difese le sue posizioni che prediligevano la tradizione di un pagano, Aristotele, affermando che la conoscenza concettuale umana è sempre mediata dalla conoscenza sensibile, una tesi setacciata attraverso il vaglio dei filosofi (ulteriore scandalo!)arabi del X ed XI secolo, dono di trasmissione e conservazione attraverso l'Islam nei confronti della cultura occidentale.

In una delle tante disputatrio che sono giunte a noi attraverso una delle sue questione disputatae, la XI, redatte, appunto, durante il primo periodo della docenza parigina (1254-56), Tommaso D'Aquino (1225-1274) pone alla discussione dei suoi allievi la questione se un uomo possa educare un altro uomo. Il metodo della disputatio, che era una vera e propria lezione secondo una metodologia attiva, poiché ad essa partecipavano ampiamente gli stessi studenti, prevedeva l'esposizione degli argomenti a favore della tesi enunciata e della tesi avversa, l'opinione del maestro e la confutazione delle obiezioni.

Può, dunque, un uomo educare un altro uomo?

Sì, ma in un certo modo.

Come non è né il medico, né il medicamento che guariscono il malato, bensì la natura che il medico e il medicamento aiutano (e rafforzano), così non è un uomo che educa un altro uomo, quanto un uomo che offre aiuto (auxilia) perché l'altro uomo cresca, educhi se stesso: è la natura dell'uomo (nella sua interezza) che va aiutata a crescere, una natura che per essere libera ed autonoma, deve veder assumere l'aiuto offerto.

L'educazione è assieme etero ed autoeducazione, insomma coeducazione: un'educazione consorziata fra persona in via di sviluppo e persona (dell'educatore) a sviluppo più avanzato (necessariamente). Vacuità, dunque, delle polemica relativa all'auto e all'eteroeducazione. Si tratta di una compartecipazione sulla base delle potenzialità del soggetto come, per analogia, la questione dell'auto ed etero eticità nasce e si nutre sulla base della costitutività del soggetto umano, tenuto conto delle condizioni concretamente storiche e del gruppo specifico.

Il richiamo alla natura ci porta a considerare i problemi dell'educazione anche nel pensiero di un pastore evangelico moravo, Amos Komensky (1592 - 1670):

Nella Didattica magna (opera redatta in ceco, e tradotta in latino), prende a modello dell'azione educativa, appunto, il modo di procedere della natura enunciando principi che rimangono fondamentali nella storia dell'educazione e non solo dell'istruzione per la quale erano stati redatti:

  • la gradualità: la natura non fa salti, ma procede per gradi;
  • la continuità: la natura quando ha cominciato non smette mai fino alla fine;
  • l'interiorità: la natura opera sempre cominciando dall'interno
  • il tempismo: la natura attende il tempo favorevole;
  • la contrattazione: la natura prende un soggetto adatto all'operazione che vuole compiere, oppure se lo rende adatto con una conveniente preparazione;
  • la finalizzazione e la programmazione: la natura non è confusa nelle opere sue, ma procede distintamente;
  • L'individualizzazione: la natura prima ancora di dare forma, si procura la materia;
  • La globalità: la natura comincia ogni sua creazione dalle cose più generali e termina con i particolari;
  • L'ottimismo e la positività: la natura evita attentamente tutto ciò che le è contrario e nocivo.
  • Quando chi promuove un'azione educativa non in senso generale - dato che ogni azione umana è educativa nel senso che modifica (in meglio o in peggio) le persone coinvolte nella relazione - ma in senso specifico, intenzionale e professionale, quando costui tende a sovrapporsi e sostituirsi alla persona o alle persone verso le quali ha stabilito una relazione a carattere educativo, allora - si faccia bene attenzione - non vi è mai educazione,bensì violenza, sopraffazione, addestramento, ammaestramento.
  • L'uomo, normalmente, si costruisce dal di dentro, non dal di fuori; ed è solo l'uomo stesso che può costruirsi interiormente, il resto - e non è poco anche per il modo con cui si dovrà esprimere - è, come si è detto, aiuto, stimolo, accompagnamento.
  • OPERATORI O EDUCATORI?
...agens exstrinsecum non agit nisi adiuvando agens intrinsecum, sicut medicus in sanatione est minister naturae” (Tommaso D'Aquino, Questiones disputatae, XI, 1).

Anche la Comunità si costruisce dal di dentro: le leggi del gruppo imposte dal di fuori, senza una maturazione interna al gruppo, diseducano.

Educare è, fuori da ogni dubbio, interesse con la persona e le persone in situazione di gruppo, una relazione di aiuto, di stimolo, di accompagna- mento alla ricerca di se stessi e del proprio destino nell'ambito dello scorrere della vita di ogni giorno, nell'ambito di quei tempi, precisavano gli educatori dei primi anni del dopoguerra, che non sono dedicati alla scuola o alla formazione professionale poiché, là, vi sono altri educatori, professionisti anch'essi: gli insegnanti.

A questo proposito è opportuno segnalare un problema di linguaggio, nel senso che il vocabolo `educazione' non ha lo stesso significato nelle lingue neolatine e nelle lingue anglosassoni.

In queste ultime, esso corrisponde al nostro vocabolo `istruzione', mentre il significato più complessivo di educazione è tradotto con un vocabolo meglio corrispondente in italiano a `formazione': Training and Education. Certamente questa concezione dell'educazione, non certo recentissima, espone l'educatore all'usura delle frustrazioni e dell'esercizio di qualità morali di notevole spessore: umiltà, paziente attesa, prudenza, costanza con la conseguente usura sul piano affettivo ed emotivo che richiede di essere strutturato ad un livello di maturità e solidità adeguata.

Si manifesta così quella serena autorevolezza che si pone come testimonianza di vita e di vita quotidiana, contro la brutalità e la volgarità dell'autoritarismo impositivo e livellante. Poiché non basta operare per operare bene: la dizione generica di `operatore' sta assai stretta all'educatore professionale. Può essere una buona definizione di un livello retributivo sindacale, ma entro al quale si articolino le differenti qualifiche specifiche professionali.

Esse non possono certo essere frutto di invenzione fantastica, ma nemmeno ridotte artificiosamente per ragioni di comodità, magari retributive.

Ed infatti, l'educatore professionale è uno degli operatori pedagogici professionisti operanti nelle attività sociali e nei servizi, la cui presenza operativa risale lontano nel tempo anche se sotto altre denominazioni e in differenti situazioni.

EDUCARE: SVILUPPARE IL POSITIVO

Per terapia si intende quella parte della medicina che tratta della cura delle malattie che è a sua volta la scienza e l'arte di conservare o restituire all'uomo la sanità.

Il concetto di `terapia' è, dunque, riduttivo nei confronti del concetto di `educazione': l'educazione si sforza di favorire lo sviluppo e va oltre la guarigione della malattia per procedere al rafforzamento e allo sviluppo della salute stessa in senso mentale e psicologico.

Guarire è togliere il negativo; educare è sviluppare il positivo.

In realtà la funzione stessa del medico non è puramente terapeutica, ma anche promozionale della salute, se la si concepisse in modo più completo e dinamico. D'altro lato il processo terapeutico, sia medico che psichiatrico, presenta una tipologia relazionale a carattere dualistico, non di rado con caratteristiche di dipendenza anche a causa della specificità stessa della materia oggetto del processo stesso, mentre il processo educativo presenta una tipologia relazionale a carattere duale con caratteristiche che dovrebbero essere improntare ad un'atmosfera di libertà e di comunarietà.

A meno che non si voglia attribuire potere terapeutico a situazioni di residenzialità strettamente chiuse sull'esterno: in tale caso gli eremi si presenterebbero paradossalmente come C. T. più antiche e più, idealmente, valide.

Riflettendo, dovremmo, comunque chiederci, soprattutto nello specifico, legato alle sostanze stupefacenti: terapia di che? Di un male che non è fisico e che è dei gruppi sociali e delle persone circostanti, non solo e non tanto delle persone tossicodipendenti.

Chi riuscirà in questa impresa terapeutica che capovolga l'ordine dei valori correnti in gran parte della cultura attuale e che, tutto sommato, sta alla base delle crisi che portano alla dipendenza come soluzione del problema della vita, quindi del raggiungimento della felicità e della gioia? E restauri il primato dei valori reali che fanno dell'uomo il centro e la risorsa della vita e della vita sociale?

Sembra un'affermazione eccessiva, eppure vedevano giusto, a mio avviso, gli umanisti italiani del Rinascimento quando indicavano nell'uomo quel microcosmo vicino che racchiudeva in sé, emblematicamente, tutto il microcosmo più lontano, anche metafisico.

Del resto, è sempre l'insegnamento del nostro amico Tommaso che ci rende avvertiti della impossibilità dell'uomo di conoscere direttamente il metafisico, il soprannaturale che necessita della mediazione della sensibilità per rivelarsi, cosicché un Dio che ama profondamente per rivelarsi a pieno, direttamente, si è fatto uomo ed ha piantato le sue tende fra noi: ed è la meravigliosa, commovente specificità, avventurosa, del Cristianesimo. Recentemente l'educazione è stata presa di mira anche dalla psichiatria, o almeno da alcuni psichiatri, anche famosi.

Durante un incontro a sfondo sindacale, con la presenza di un illustre collega rappresentante di un'associazione di docenti universitari di prima fascia, lo stesso, in polemica con i rappresentanti degli educatori professionali, affermava che non di `educazione', concetto obsoleto e paternalistico, i pazienti psichiatrici avevano bisogno, quanto di una moderna riabilitazione che, a ben vedere, se si entra nel merito, corrisponde ad una educazione nei confronti di abitudini, esperienze e attitudini non mai ancor acquisite. Quindi riabilitazione, ma secondo il punto di vista non dell'interessato/oggetto, ma del medico/soggetto!

Sicuramente nella testa di questo collega, come di altri che prendono di mira con i loro strali l'educazione, sta un concetto ben diverso dal nostro: un'azione che educazione non è, bensì ammaestramento, dressage.

D'altro lato la psichiatria stessa può essere usata ed attuata come violenza e sopraffazione del cliente, anziché essere centrata sul cliente.

L'IMPORTANZA DELL'INTENZIONALITA'

In tutta questa vicenda occorre mettere a fuoco l'essenzialità di due aspetti: da un lato la motivazione che ha spinto all'impegno per l'esercizio del- l'attività di `educatore professionale', dall'altro la motivazione che ha spinto ad uno sforzo per uscire dalla dipendenza, soprattutto dalla dipendenza, e non solo dalla droga.

A mio avviso la motivazione più vera e più autentica non può che essere, paradossalmente, la stessa: dare pienezza di attuazione alla propria personalità, riuscire ad essere se stessi nel modo più ampio possibile rispetto alle capacità e alle possibilità della persona nella sua individualità e nella sua socialità.

Ciò non vuol dire che le due scelte (quella di uscire dalla dipendenza e quella di assumere la funzione educativa) siano intercambiabili; vuol dire semplicemente che con ogni probabilità l'unica vera ed autentica motivazione motrice in senso positivo del destino di una persona è quella volontà di essere fino in fondo se stessi, con la realizzazione in pienezza della propria umanità in quella maturità ed autonomia che è gioia e felicità.

Nella direzione di una libertà che non è fare quello che si vuole egocentricamente, ma quello che si deve per onorare la propria intrinseca e costitutiva dignità umana; libertà che è autonomia più che indipendenza, poiché siamo tutti legati gli uni agli altri, ma ognuno in sé autonomo, non costretto da decisioni o influssi esogeni, bensì orientato da convinzioni e ragioni interiori che emanano, scaturiscono dall'analisi della propria essenzialità.

E'decisiva la finalità: l'intenzionalità, questo andare oltre se stessi, verso qualcosa che parte da sé, ma supera se stessi e va oltre se stessi; questo essere protesi verso altro da sé, questa tensione verso ed oltre. L'intenzionalità è, dunque, il volere consciamente un qualcosa come finalità.

Ci sono in entrambi i casi (la scelta della professionalità educativa e la scelta della liberazione dalla dipendenza) problemi di fondo che si incentrano nella formazione che le persone hanno acquisito come base dello sviluppo della loro personalità e problemi connessi alla formazione continua, permanente, che si è sviluppata nel corso degli anni durante la vita e la vita professionale. Purtroppo nel nostro Paese il bilancio in tale direzione non è confortante: ci sono paesi europei ove datori di lavoro e lavoratori versano una percentuale del loro salario per la costituzione di fondo a cui attingere per la partecipazione ad iniziative di formazione permanente durante il lavoro.

Elemento coadiuvante e tale da facilitare la realizzazione di questo progetto di vita, personale e sociale assieme, è il gruppo, componente essenziale della vicenda esistenziale in quanto elemento costitutivo della personalità.

Il gruppo dovrà essere considerato sia sotto l'aspetto professionale, come équipe pedagogica ed équipe tecnica, sia sotto l'aspetto di gruppo di pari o di pari condizioni.

Ogni gruppo ha una sua vita: nasce, cresce, si rafforza, invecchia, si dissolve o per il dissolversi delle finalità che ne ha provocata la formazione o per il disperdersi delle persone che hanno portato alla sua costituzione.

Nuovi gruppi nascono, altri gruppi si dissolvono, come nella vita individuale. Sono un mezzo per divenire più e meglio se stessi anche in quanto persone dalla socialità espansa e operante; non sono un fine.

Il fine rimane sempre l'uomo e la sua felicità che per essere vera, profonda e piena necessità di qualità che possano essere da tutti universalmente partecipate inesauribilmente. E l'uomo, persona, vi ha, dunque, posizione di primo piano, quell'uomo-persona che è componente, attore e partecipe del gruppo e della sua dinamica.

Dunque, è amara conclusione lo spettacolo di certi modernismi, anche di uomini o donne cosiddetti dipendenti attraverso la pubblicità di quegli interpreti di valori che sono all'origine della dipendenza.

Sembra contraddittorio, quindi, di una drammaticità che potrebbe divenire tragedia in quanto i redentori sembrerebbero anch'essi dipendenti da qualcosa di più corposo della stessa droga: il proprio narcisismo.

Paolo Marcon, Può un uomo educare un altro uomo ? in Persona Comunità, a 3, 1999,n.4