Sulla direttività dell'educatore
Sulla direttività dell'educatore
Il problema della direttività o meno dell'educatore, è un problema, come è stato giustamente osservato che, per essere stato dialetticamente posto ( dialettica di opposizione, ovviamente), rischia di diventare retorico; infatti, la scelta fra un tipo e l'altro di educatore rischia, appunto, di creare una precettistica o meglio una `ricettistica' di stampo veramente autoritaristico, superato storicamente dal pensiero pedagogico.
Se si vuole, l'educatore, in quanto si trova in una situazione di rapporto analogico con un essere umano simile, ma allo stato potenziale ed in graduale crescita, dovrebbe essere e direttivo e non direttivo, dovrebbe, insieme, paradossalmente, inserire la direttività nella non direttività; qui il messaggio rogeriano assume il massimo della sua portata: l'educazione dovrebbe assumere la non direttività come tendenza fondamentale e strutturale della sua azione anzi della sua stessa personalità.
Perciò, a me pare, che il problema vada riportato a monte, cioè alla matrice antropologica ed ontologica dell'educazione educativa: la personalità dell'educatore. E' nell'interiorità psicologica dell'educatore che trova sintesi e compimento il dilemma, che, come è stato giustamente osservato, dilemma non è.
Tuttavia, penso, che ci farebbe perdere del tempo un raffronto di idee e di teorie sia in sede storica che in sede teorica.
Da un lato, anche se un po' illuministicamente, si potrebbe negare il valore delle idee che in sede storica non abbiamo avuto sufficientemente aggancio con la realtà fattuale od esistenziale, dall'altra si potrebbe anche osservare, molto positivamente ma certo non vanamente, chge troppi fatti ci stanno a confermare la presenza di irrigidimenti notevoli che solo attualmente si stanno, anche se faticosamente, superando.
Ad esempio, dieci anni fa iniziò nell'educazione specializzata la moda del `gruppo-famiglia', nonché il boom psicopedagogico. Ci si intenda: una pedagogia che neghi validità alla psicologia è una pedagogia che perde il senso del reale e perciò si autolimita. Ma credere che i dati psicologici o la terapia psichica di per sé siano il tutto, mi parrebbe altrettanto irreale.
Fu, allora, l'epoca in cui il fattore `sentimento' entrò tanto unilateralmente in scena da assumere toni chiaramente `emotivi'. Contemporaneamente, l'educatore di gruppo, nell'Istituto, trasformato in vice-padre o in vice-madre avrebbe dovuto attuare una gestione che rasentava l'autarchia per non essere disturbato nell'ambito di un gruppo-famiglia modellato più su uno schema cenobitico che su uno schema osmotico, nelle reazioni con il mondo delle persone e delle cose tutte.
Allora mi occupavo del pensionato giovanile di rieducazione “Villa Agneseâ€. E ricordo le istanze di molti giovani delle istituzioni similari per forzare le regole del gioco imposte loro dagli adulti, onde ottenere di partecipare alle nostre attività, volute dai giovani stessi, ed ove avevano la possibilità, fra l'altro, di conversare, ballare ed incontrare qualche bel fiore di ragazza.
Quando poi le formule tecniche ufficiali, venivano calate alla base in mano ad educatori o inesperti, o impreparati o succubi della violenza delle disposizioni dell'autorità, le cristallizzazioni dell'azione educativa si rendevano ancora più evidenti e dannose.
Perciò, prima di pensare in termini tecnicamente pedagogici, termini che dovrebbero sempre rifuggire da posizioni dogmatistiche e situarsi in un più sano e dinamico sperimentalismo probabilistico, necessita di pensare in termini più ampiamente umani, una dimensione che qualora ci sfugga, rischia di rendere sfuggente la realtà totale, riprecipitandola fatalmente in formule e ricette.
1La persona umana non può essere mai avvilita da nessuno e da nulla; l'0educatore è al servizio di una espressione di sé per essere al miglior servizio dell'espressione del soggetto in età evolutiva affidatogli: le prestazioni tecniche risultano dalle sovrapposizioni che degenerano in tecnicismo quando la tecnica non risulti, espressione dell'originalità e della creatività operativa della personalità dell'educatore. E forse per queste violenze tutt'altro che lontane dal finire, si è precipitati ed approdati ad avvilenti situazioni, smorzando l'entusiasmo e la promettente operosità degli anni passati e dando l'avvio ad una virulenta, anche se troppo spesso verbale o gestuale, azione contestativa.
Ognuno dovrebbe, perciò, innanzitutto guardare a sé ed in sé per prendere più critica coscienza della struttura della propria personalità attraverso una disincantata, quanto spietata autoauscultazione di natura psicologica e spirituale.
Il punto della questione sta, appunto, nella struttura della personalità dell'educatore, così come è andata costruendosi e modificandosi; si tratta della sua maggiore o minore rigidità, cioè della maggiore o minore capacità di adattamento (anche se critico) a situazioni nuove, di accettazione di idee ed impressioni altrui con conseguente maggiore o minore riservatezza, chiusura in sé, atteggiamento di difesa.
Il rigido, nonostante ogni sforzo esteriore, anche quando proclama la non direttività, è pur sempre un direttivo. Il problema si riconduce, in fase risolutiva, alla capacità e volontà di modificazioni interiori e profonde dei tratti della personalità, e non tanto alla assunzione di contenuti diversi, progressisti, innovatori o conservatori che siano.
La non direttività può o potrebbe in alcuni casi essere un mascheramento camaleontico della rigidità, e forse, di una conseguente od originaria insicurezza; rigidità che può essere o ideologica, o nevrotica ammesso che i due aspetti possano darsi disgiuntamente!
Certamente la plasticità potrebbe anche voler dire incapacità e passività, ma qui si pensa alla plasticità come qualificazione di una persona umana, dunque di una personalità, cosciente, responsabile e pensante.
Una personalità plastica è una personalità veramente e largamente disponibile ad attività di sintesi, capace di attuare una autentica azione educativa, capace di capire gli altri, oltre che di capire se stessa.
Il messaggio che si intende offrire è pertanto un messaggio di interiorità per ognuno ed in particolare per chi desideri dichiararsi disponibile all'educazione che è pur sempre una disponibilità a rinunciare ad ogni possesività, ad ogni esercizio di potere sugli altri, mentre, se non si va errati, il rigido è, in definitiva, un possessivo.
Ed in questo senso va sottolineato il maggior valore della concezione rogeriana: l'assenza di precettistica a favore della espressione libera di atteggiamenti di fondo interiori alla personalità dell'educatore.
Nasce così un senso ed una coscienza democratica della vita personale e sociale e non tanto ancorata ad una visione contingente del momento storico o di una esperienza attualistica, ma piuttosto ancorata ad una valutazione ontologica della realtà umana e dei suoi rapporti orizzontali con il mondo, con la natura, le cose e gli esseri ivi compresi quelli umani natuiralmente: è un abbraccio cosmico che ci richiama al rinascimentale ficiniano affacciarsi del microcosmo umano al macrocosmo universale, un affacciarsi che disvela anche altre dimensioni, più varie e più multiple che non quelle sociali e delle quali, esse, sono in effetti garanzia.
Questo andare dal sé al tutto, questo andare dall'ognuno, dall'io al noi, questo stimolare alla presa di coscienza, graduale, di sé per una presa di coscienza, graduale, di tutto e di tutti, è percorrere un itinerario solidamente democratico e pienamente aperto in libertà ed in liberazione.
La visione che ci viene prospettata dal Rogers riflette una concezione filosofica che egli mostra e scopre come corrispondente alla realtà psicologica (c'è da chiedersi se non sia particolarmente interessante questa convergenza, e se, in ultima analisi, ad ogni problematica anche scientifica non sottenda una visione o meglio una enunciazione anche filosofica dei problemi): si tratta della visione interioristica, della concezione di sintesi dell'aristotelismo tomistico, carico di quell'antropocentrismo di riferimento che spesso ha provocato accuse di materialismo da parte di spiritualisti o di astrattezza da parte dei positivisti.
La visione sinolica della realtà umana in un ricomposto dissidio, presunto ed apparente, fra realtà spirituale e realtà psico-materiale, supera certi ricorrenti dualismi di stampo manicheo, o certi ricorrenti monismi riduttori della varietà della realtà . Certamente quella filosofia non era cosciente di tutti i riferimenti e le implicanze di una realtà che, nella storia, va manifestando tutta l'infinita gamma della sua inesauribile ricchezza. Da questa visione della realtà, una visione dal di dentro della realtà stessa (che è forse l'unico modo per comprenderla il più compiutamente possibile), una visione che si colloca nella struttura della realtà umana, parte la risoluzione di tutti i termini che sembrano antitetici e non solo dei termini di direttività e di non direttività.
Ad esempio: un educatore, secondo questa interpretazione, potrà anche essere indicato come modello o come punto di identificazione: ma sarà un modello che è uno stimolo, una causa efficiente e finale allo stesso tempo (per usare un concetto aristotelico), sarà il termine di una identificazione che è critica e che è attiva e creativa.
I ruoli educativi saranno conseguentemente non tanto strutture e normalità se non in senso indicativo, ma piuttosto diversificazioni, qualificazioni, colorazioni di una stessa azione educativa caratterizzata dalla presenza di personalità valide ed autentiche. Da ciò il fatto che tutta l'azione educativa e la stessa rimozione degli ostacoli allo sviluppo, avviene non in ordine a quello che l'educatore rappresenta, ma in ordine a quello che l'educatore è.
Poiché l'educatore allora avrà coscienza di sé e del valore della sua persona, il centro della sua azione sarà la persona del soggetto affidatogli e ciò avrà più importanza di ogni formalismo pedagogico, formalismo di strutture, formalismo di metodi, formalismo di valori precostituiti.
La sua autorità sarà di conseguenza, innanzitutto autorevolezza, sarà un'autorità promozionale, improntata alla libertà espressiva ed operativa, partecipante, testimoniante e non repressiva. La contraddizione è, in conclusione, non fra direttività e non direttività, ma tra formalismo pedagogico e pedagogia autentica; l'elemento che salva dal precipitare della pedagogia al pedagogismo è l'autenticità di sempre, l'autenticità della persona dell'educatore. Perciò, se amiamo l'antica massima deferenza per il fanciullo, discutiamo e sperimentiamo come al di là degli insegnamenti teorici e tecnici (pur necessari come momento di un processo più vasto e complesso), al di là delle metodologie e dei mezzi, delle polemiche e delle discussioni, possiamo offrire agli esseri umani, la possibilità di riconoscere prima e di attuare poi la propria disponibilità educativa in funzione animatrice, come la forma che è animatrice, in senso organico, dal di dentro, del corpo.
E Roger, infatti, più che di direttività e non direttività, afferma la necessità di un'azione centrata `sul cliente', sull'uomo, cioè.
Marzo 1971
Paolo Marcon, Sulla direttività dell'educatore, in Formazione e Politica, Roma, La Gogliardica, 1979, pp. 203-208
Premesse ad ogni azione educativa
Il punto di vista della pedagogia e dell'educazione è un punto di vista, essenzialmente, sintetico. Sintesi, continuità, armonia, senso del limite sono parole spesso usate dagli educatori, ma è opportuno rimeditare il significato della parola sintesi, concepita e sentita come unificazione del molteplice. Entro questa definizione sta la soluzione di molti problemi che si vanno spesso dibattendo, di numerosi problemi che l'educatore incontra nella sua vita professionale. Unificazione del molteplice non in un modo qualunque , ma in un modo particolare, da un punto di vista specifico che è il punto di vista dell'educazione e della pedagogia.
- L'educazione, la ricerca concettuale e la scienza. La parola unificazione, giova notarlo, è una parola che ha un significato equivoco. I filosofi avvertono che non tutte le parole hanno u8n significato univoco, cioè non tutte le parole hanno un solo significato, ma possono invece essere usate e significate diversamente a seconda del punto di vista, dell'ottica in cui sono inserite. Unificare vuol innanzitutto e soprattutto, dare una unità alla molteplicità, fare in modo che la molteplicità venendo unificata dia un qualche cosa di nuovo, un qualche cosa che superi, per così dire, che trascenda le varie parti che noi si presentano, per darci un `quid novi', originale e particolare.
- L'educazione e la ricerca storica
- L'ambiente sociale L'educazione agli albori dell'umanità e della storia, sembra sorta sotto l'insegna del dispotismo e del sociologismo. Non esistevano strutture educative nel periodo della preistoria e della protostoria; l'uomo era tutto inserito ed immerso nell'ambiente. Per l'uomo primitivo l'ambiente era tutto, in esso trovava l'essenza dell'azione educative e della esistenza vitale. Le tradizioni sociali livellavano gli esseri umani ed imponevano una loro logica ed un loro ritmo di vita. Indubbiamente si trattò di una situazione educativa di estremo infantilismo e che vediamo riprodotta anche sotto forme solo esteriormente contestatrici, ma del tutto illiberali. E' una situazione che, per contrapposizione, rivela la profonda importanza, la essenzialità di un aspetto dell'educazione che non va dimenticato: l'importanza negativa in quel senso, ma positiva in altro senso, dell'elemento ambientale dell'educazione.
- Interiorità della persona E' stata caratteristica della cultura greca la valorizzazione della persona e dell'educazione, e la valorizzazione del concetto di armonia, valido non soltanto in relazione alla persona dell'educando ma anche a quella dell'educatore. Se è essenziale giungere nell'azione educativa , all'armonia della persona dello educando, armonia da raggiungere con lo sviluppo organico di tutta la più ampia dimensionalità personale, altrettanto è vero che questa armonia deve risiedere innanzitutto nella persona dell'educatore. Fa eco il messaggio socratico, il messaggio dell'interiorità: “conosci te stessoâ€, messaggio profondo che l'educatore non può dimenticare senza correre il rischio che la sua azione si vada dissolvendo in modo inconclusivo, nel nulla. Ascoltare se stesso deve l'educatore, per accentuare la propria sensibilità, per affinare il proprio impegno personale di vita, morale, spirituale, culturale, sociale, umano, affettivo (e sia ben detto non esserci educatore che possa dirsi tale se non ha una grande cuore nel senso psicologico della parola, salvo trovarsi di fronte alla impossibilità di svolgere realmente la sua opera educativa, rappresentando una personalità così rattrappita, così accartocciata, così rinsecchita da non poter avere sull'educando quell'ampia necessaria apertura specifica alla relazione personale che realizza il rapporto educativo). L'appello all'interiorità è anche appello alla capacità di approfondire la conoscenza di se stessi come presupposto primo per l'approfondimento della conoscenza dei ragazzi: essere capaci di guardare se stessi con estrema semplicità ed obiettività negli aspetti positivi e negativi, nelle manchevolezze e nelle incertezze, guardare ai problemi della personale esistenza, per cogliere con chiarezza e con serenità anche il dramma dell'esistenza dei soggetti in età evolutiva. Interiorità va, sempre secondo l'appello socratico, intesa anche ai fini dell'educazione ed in ordine ai metodi. Il metodo maieutico di Socrate, che, quando letto nei dialoghi platonici sembra a volte nella sua esteriorità di estrema ingenuità, racchiude in se stesso una notevole profondità educativa ed umana in funzione ad una utilizzazione non strumentale e strumentalizzante delle tecniche educative. Socrate fu anche il vero iniziatore di una educazione democratica di quanto, sulla pubblica piazza, non si rivolgeva solo alle èlites della cultura greca, e di quanto cercava di muovere, di sollecitare la persona ad educare le sue forze vitali in una ricerca personalizzata, in una scoperta interiore della verità, dando così la misura della validità del metodo stesso.
- Senso della famiglia I valori che vengono posti in evidenza dall'educazione romana sono una linea di svolgimento progressivo, e sono caratteristici di una cultura pratica e concreta: i valori familiari, punto di incontro delle dimensioni individuali e sociali, primo ambiente di tirocinio sociale. L'essenza interiore del problema sta nel ritenere presupposto e premessa dell'azione educativa il valore ed il senso della famiglia, che è nella natura delle cose; e perciò non si può prescindere dalla realtà senza incorrere nel pericolo d'essere votati all'insuccesso. Se la dinamica della vita umana è soprattutto nella vita familiare (anche in coloro che hanno consacrato la loro esistenza a Dio esiste l'appello alla vita familiare. La Regola di S. Benedetto dal punto di vista dei valori familiari delinea una particolare figura, quella dell'Abate; mentre il monastero benedettino è un profondo scambio di amore; in una dinamica d'amore è per definizione, secondo i Cristiani, la stessa essenza della divinità), sul piano pratico attuare strutture e promuovere dinamiche a carattere familiare cioè, soffuse di intimità, di affetto, di attenzioni, di comprensione e di stima, di quel calore particolare che ognuno di noi ha trovato (o non ha trovato nella sua famiglia) , è attuare quell'atmosfera che è essenziale alla azione educativa.
- Educazione come rapporto e come amore L'approfondimento dei valori essenziali della dignità della persona, introdotto dal Cristianesimo, ha portato anche ad accentuare il problema della coerenza personale dell'educatore. Il rapporto educativo, per essere un rapporto interiore ed interiorizzante che porta verso la verità, pone come prima esigenza la coerenza dell'educatore, la coerenza tra quello che l'educatore pone come meta da realizzare e quello che l'educatore è in sé; la coerenza con la verità che l'educatore ha dentro di sé. L'educazione è muovere alla verità, alla bontà, alla libertà; l'educazione e, secondo il Cristianesimo (ed è la grande essenziale novità che viene introdotta), totalmente, atto d'amore oblativo.
- Progresso scientifico ed educazione: la conoscenza analitica dell'educando Il progresso della scienza ha condotto anche al progresso dell'educazione: l'approfondimento dei problemi scientifici concernenti la natura dell'uomo e gli aspetti della psicologia umana, ha portato a scoperte che hanno messo in condizioni l'educatore ad orientarsi in modo più preciso e deciso circa lo svolgimento dell'azione educativa ponendo la problematica dell'incontro fra la scienza, la psicologia soprattutto, e la pedagogia.
- Metodi di educazione Gli ultimi cinquant'anni sono stati un fiorire di metodologie e di tecniche; l'appello e l'approfondimento della psicologia hanno posto un problema importantissimo: non soltanto per qual fine educare, ma come educare.
- L'affettività Un ulteriore aspetto recentemente messo in evidenza è l'aspetto affettivo della educazione: l'aver constatato come gli aspetti dell'attività umana siano così profondi ed essenzialmente legati all'affettività, ha messo in particolare rilievo questo momento. Ciò tuttavia è positivo, essenziale, ed accettato. Come sempre, ci sono nella vita gli zelanti, i quali acciuffata un'idea, si gettano con unilateralità su di essa. Così c'è chi sembra pensare che il compito dell'educatore sia semplicemente il compito di sviluppo dell'affettività, sacrificando ad essa l'educazione della volontà.
- Il progresso Il concetto di progresso è un ulteriore punto di intersezione fra l'aspetto educativo e gli altri aspetti terapeutici o psicologici che siano.
- Arte e scienza educativa Spesso è rivendicata la visione dell'educazione come intuizione, unicità, irripetibilità, arte. Ricordo che un giorno visitando nel suo studio un amico pittore seguace dello astrattismo, lo trovai intento a fare dei segni su un pezzo di carta. Gli chiesi un pò ironicamente che cosa stesse dipingendo. Mi rispose che non dipingeva propriamente, ma stava `facendosi la mano'. Aveva bisogno cioè, prima di cominciare a dipingere, di esercitarsi ed assuefarsi al tratto ed al tocco pittorico. E' vero che nel lavoro educativo c'è molto di artisticamente intuitivo cioè di originale e creativo, richiedendo la vita stessa e l'attività accanto ai ragazzi, di momento in momento, decisioni a volte anche repentine. La vita è un incessante flusso di avvenimenti senza sosta, un attimo fuggente, ma un attimo che racchiude in sè, oramai, tutto un passato, carico di implessi futuri. Pertanto l'educatore ha bisogno di poter porre pronte decisioni, intuizioni rapide dei problemi, decisioni a volte istantanee, esatta intuizione; a parte la critica che poi deve essere esercitata sull'azione intuitiva, essa sarà tanto più centrata e giusta, quanto più la preparazione precedente di carattere spirituale, culturale e tecnico sarà profonda. L'intuizione è facoltà che germoglia e cresce in modo giusto, centrato e rettilineo se la personalità dell'educatore è ben costruita, scientificamente e culturalmente ben solida. Nel momento critico si potrà verificare che quanto più le personalità saranno solidamente costituite, tanto più l'azione educativa sarà nel suo aspetto di intuizione e di immediatezza, producente e valida.
- Riportare l'attenzione sull'educatore La rivoluzione copenicana sotto il cui segno va l'educazione degli ultimi cinquant'anni, ha posto l'attenzione sul giova- ne e sull'educando: anche dal punto di vista educativo, essa ha avuto un'estrema importanza. Tuttavia, oggi è necessario proporre una nuova rivoluzione, una riconversione sulla figura dell'educatore (non tanto per dimenticare il ragazzo, ma perchè misuri la sua azione e la prepari in funzione del ragazzo, cosicchè il ragazzo sia presente nell'educatore). Sembra necessario pensare un pò di più agli educatori ed è necessario che gli educatori pensino di più a se stessi, non tanto per un senso di egoismo o di ripiegamento, ma perchè sulla base dei complessi problemi della educazione, se l'educatore non si forma come uomo interamente impegnato, aperto e generoso, dalla struttura personale profonda, dalla testimonianza di vita completa anche socialmente. parlando, dalla preparazione culturale e scientifica seria, difficilmente, nonostante tutti i metodi che si vogliano utilizzare, nonostante tutte le scoperte che possono essere offerte dalla psicologia e dalla scienza, difficilmente saranno risolti i problemi dell'educazione.
Indubbiamente, l'approfondimento che negli ultimi secoli, da un punto di vista culturale, si è fatto dei concetti in funzione della scienza sperimentale, ci ha portato un po' fuori da questi significati che si manifestano, tuttavia, pregnanti di contenuti e di significati.
Nell'epoca moderna, nel pensiero contemporaneo e anche nella pedagogia contemporanea, sotto gli influssi indubbiamente di notevoli ed importanti attività di carattere scientifico, la parola unità e unificazione hanno cessato di avere un significato forte, e cioè di formazione di un insieme secondo un certo rapporto, secondo un certo punto di vista, per assumere una più vasta espressione e significanza di composizione, di organizzazione, di conciliazione, di associazione.
Si finisce perciò per rendere la sintesi un qualcosa di meno robusto, declassandola semplicemente a conciliazione di parti, ad una giustapposizione, ad associazione, credendo, quasi come alcuni filosofi, che la sintesi possa essere ottenuta con l'assommare i concetti come si sommano i numeri. E qui siamo, sembra, al punto cruciale della questione. Se noi ci riferiamo alla dibattutissima questione dei rapporti tra psicologia ed educazione, o tra psicologia e filosofia, o tra pedagogia, educazione e filosofia, si vedrà che tutte le difficoltà nascono perché, anziché trarre dai messaggi che le varie conoscenze ci danno, quel tanto che sia utile e funzionale a questa unificazione, si tenta di accostare gli uni concetti agli altri, senza alcun sforzo, teso a costituire, dai vari dati, concetti nuovi che diano qualcosa di particolare e di originale: il pedagogico.
Dal punto di vista dell'educazione, poi, la sintesi va sentita ed attuata non soltanto intellettualmente, sintesi di concetti e di ragionamenti cioè, ma come sintesi culturale nel più profondo significato della parola, cioè come acquisizione di nozioni e di problematiche da un punto di vista intellettuale, ma inoltre come concezione e sistema `vissuto' di vita.
Ne consegue una premessa essenziale al lavoro educativo: una posizione di fondo, che è una posizione culturale ma non esclusivamente intelletualistica, o peggio razionalistica; una posizione dell'uomo-educatore di fronte alla vita e alla realtà, che implica indubbiamente anche un aspetto intellettuale ma che non è soltanto tale: una sintesi vitale, completa e vissuta, radicata nella esistenza umana nella sua totale essenza di dimensioni intellettuali, volitive, fisiopsichiche, affettive, operative.
Questa riflessione sul valore e l'importanza della chiarezza concettuale ed in particolare del concetto di sintesi pedagogici come premessa dell'azione educativa, è fedeltà alla realtà. Il problema della concettualità è un vecchio problema che ci lega ad un fermento filosofico che da molti è giudicato passato, morto. Riproporre alla modernità, alla contemporaneità questi fermenti sembra quasi che si voglia, come Annibale, infliggere ai propri simili, il supplizio di legare i vivi ai cadaveri di più gloriosi caduti.
Ma, il tentativo di cogliere l'essenza delle cose, gli aspetti nella loro universalità, mi sembra un momento, tuttavia, importante. Purtroppo ancora un svolta, se ci ritroviamo di fronte a tante difficoltà, è perché nei nostri problemi anziché cercare l'essenza della realtà, solamente la sfioriamo nei suoi aspetti esteriori; senza voler negare gli apporti indubbiamente fruttiferi della cultura moderna, ci ritroviamo in quella crisi caratteristica per cui la conoscenza è diventata più che scienza delle cause, rapsodica e molte volte romantica descrizione dei problemi, e perciò, punto, conoscenza concettuale dei medesimi.
In tutto ciò è impegnata direttamente la personalità dell'educatore. Riuscire a compiere costantemente e fruttuosamente questa unitaria attività di sintesi, vuol dire avere educato se stessi, vuol dire avere abituato se stessi a quel senso dell'armonia, della continuità e del limite, che fa vedere della realtà e della realtà umana la sua vera essenza, che ne coglie l'aspetto fondamentale e ne attua un'originale unificazione con gli altri aspetti. Pessime abitudini ci sono state date da quella cultura contemporanea, che ci trascina di sovente alla mentalità dell'opposizione. E' un atteggiamento culturale orami istintivo per cui una realtà viene opposta all'altra, una affermazione viene opposta ad un'altra senza cogliere che la diversità sta di frequente semplicemente nei termini delle espressioni estrinseche e che, al fondo, si pongono affermazioni simili o complementari; anzi lunghe discussioni in senso oppositorio riguardano in realtà, il lumeggiare aspetti lasciati in ombra dall'interlocutore, aspetti poliedrici di una stessa e non di una diversa realtà.
Questa difficoltà a cogliere la essenza delle cose, per cui a volte si oppone ciò che non dovrebbe essere posto, deriva dall'essersi sganciati dalla solida base di chiari concetti, deviando in elencazioni e descrizioni esteriori della realtà e delle cose, mentre molte opposizioni o giustapposizioni sono semplicemente esteriori o superficiali, quando non sono aspetti differenti di una identica realtà.
Oltre al senso della sintesi, cioè dell'unità, è necessario il senso della storicità, il che vuol dire avere il senso del valore dell'esperienza altrui. In fondo una contemplazione semplicemente concettuale e per certi aspetti statica della realtà, è sempre una concezione povera e almeno parziale e lacunosa. Anche la elaborazione dei concetti fa progressi; la realtà è così varia, così profonda, così multiforme, che l'intelletto degli uomini, pur lavorandoci sopra di continuo troverà sempre nuovi aspetti e nuove sfaccettature da cogliere. Non sono d'accordo con l'assunto per il quale l'intelletto umano dovrebbe essere capace di addivenire alla comprensione del tutto, quasi che la realtà fosse come una carta assorbente sulla quale cada una goccia d'inchiostro capace di estendersi a tutta la carta. Capacità conoscitiva e realtà non coincidono né potranno, a mio avviso, mai coincidere.
Ma nulla di quanto avviene, avviene inutilmente. Quanto lungo il corso dei secoli è accaduto, ha un suo significato: se positivo o negativo, è altro problema. C'è infatti, una verità in tutto ciò che accade, e questa verità è data, quanto meno, dal fatto che tali cose sono accadute. E sono accadute perché gli uomini imparino qualche cosa, perché gli uomini ne traggano un messaggio. Si dice comunemente che la storia è maestra di vita: a parte l'amara constatazione che non è maestra di niente, perché gli uomini pur sbagliando, continuano a sbagliare, considerando i problemi educativi, con quella responsabilità che dovrebbe distinguere gli educatori, non si può passare con senso di disimpegno e soprattutto con superficialità, su tutto quanto è avvenuto prima di noi.
A volte vi è negli educatori un atteggiamento ostile alla comunicazione ed assunzione delle esperienze altrui. Ognuno vorrebbe quasi rifare tutta l'esperienza daccapo, ognuno dichiara l'unicità e irripetibilità della sua esperienza.; la intrasmissibilità di essa e l'inassumibilità di altre: Ognuno si sente Adamo, il primo uomo, senza precedenti.
C'è ragione di verità in questo, cioè nel fatto che ogni esperienza per essere umana deve essere personale e pertanto l'esperienza altrui, i dettami di esperienza che la storia ci tramanda, deve essere una esperienza da vivere non pedissequamente, esteriormente, passivamente, ma in modo attivo con quello apporto originale, creativo, specifico e particolare che caratterizza la personalità dell'uomo.
Questo senso dell'insostituibilità dell'esperienza personale ma legata a quello della storicità, sono due aspetti positivi della cultura contemporanea, come il senso dell'incomunicabilità, la insolubile problematicità, il culto dell'individualismo o del collettivismo, il relativismo concettuale ne sono il contrappeso negativo.
Importanza viene data nel mondo antico alle tradizioni sociali, quelle tradizioni sociali che da un punto di vista educativo formano l'atmosfera nella quale vive e prospera l'azione dell'educatore. Egli non può pensare di far fiorire l'educazione in un clima avulso dalla realtà sociale, quasi ad essere il genio creatore e gestore in assoluto ed in esclusiva dell'azione educativa. Al contrario, l'educatore si preoccuperà di promuovere la strutturazione anche attraverso una personale testimonianza socio-politica su basi solide, ampie e concrete dell'ambiente sociale, cosicchè, esso, risulti positivi, cioè educativo, realizzando quel senso della tradizione che è simbolo, incentivo e forza criticamente cosciente per il progresso del ragazzo.
Mi sembra oggetto di proficua riflessione da parte degli educatori rileggere in chiave educativa (perfino rieducativa) l'inno all'amore si San Paolo, che indubbiamente ha per tutti un significato spirituale e per i Cristiani ed i cattolici anche significato particolare, soprannaturale. Quando San Paolo dice che l'amore è paziente, è benigno, non si vanta, non si gonfia, non è egoista, non si irrita, non pensa male, non gioisce dell'ingiustizia ma gioisce della verità, tutto gode, tutto pesa, tutto sopporta, pensiamo alle situazioni in cui si trovano gli educatori: l'amore non viene mai meno, l'amore e la fiducia nei ragazzi, non devono mai venir meno.
L'approfondimento definitivo, per quanto riguarda l'esperienza della cultura classica e cristiana, del problema educativo viene data da S. Agostino e da Tommaso, i quali offrono i capisaldi ai problemi dell'educazione anche contemporanea. L'educatore è visto come colui il quale è stimolatore delle risorse del ragazzo per lo sviluppo della verità, cioè della bontà e della libertà che dalla persona e nella persona dell'educatore e dell'educando si manifestano come partecipazione di una comune e più profonda realtà. L'educatore è concepito come colui il quale propone ideali da attuare, stimolando l'educando ad assumerli attraverso una attività personale. L'educatore non offre esteriormente ideali e valori, ma li possiede già in sé attuali (e quindi relativi anche alla società ed alla contemporaneità) ed attuati (e quindi svolti e suscitati) facendo muovere le possibilità potenziali insite nell'educando, affinchè egli assuma in sé, per sé e da sé, questi valori.
E' la complessità della persona dell'educatore: un piccolo cosmo, un piccolo universo (sentimento umanistico e rinascimentale e poi romantico) che ha condensato in sé il mondo individuale e sociale ma non per realizzare un mondo monadico senza finestra, ma per una immissione piena e reale della realtà macrocosmica. Perciò la definizione tomistica non può essere criticata ed accusata di individualismo. L'educazione concepita come rapporto interpersonale, interiore, esclusivo (non escludente come troppo spesso è stato concepito e soprattutto attuato in situazioni contemporanee di gruppi famiglia più sulla imitazione unilaterale di teorie psicoanalitiche che di attuazioni educative) fra educatore ed educando è ancora estremamente valido, se si pensi come l'educatore debba essere colui che ha funzione riassuntiva in sé di valori, di esperienze di vita, di sentimenti, non perché siano a loro volta dall'educando rivissute e immutate, così come egli le ha assunte e vissute, ma perché siano vissute ed attuate attraverso un'esperienza tutta personale ed originale. In altre parole il rapporto educativo è un rapporto che precede dal basso, democraticamente, stimolando, animando, suscitando le attività e le forze dell'educando, e non dall'alto, imponendogli già qualcosa di fatto, una polpetta tritata e masticata e tale da essere semplicemente assimilata per digestione.
Il primo apporto in questo senso viene da Comenio con l'enunciazione della legge della gradualità e scende giù fino a Rousseau ed oltre. Rousseau è stato, malamente incriminato di principi che non ha voluto affermare mentre invece ha espresso scoperte interessanti; soprattutto ha cercato di dar valore alla conoscenza analitica dell'educando; è ormai celebre e fondamentale quella sua frase: â€Cominciamo ogni giorno e questo giorno con lo studiare meglio i nostri allievi perché riconosciamo di non conoscerli affatto e di non conoscerli a sufficienza.â€
Ma possiamo pensare di ridurre la pedagogia alla psicologia o alla filosofia applicata? Si dovrebbe negare l'autonomia dell'educazione? O concepirla semplicemente come una tecnica d'intervento?
Se la psicologia scientifica moderna prescinde (e giustamente) nella sua indagine dalla natura dello spirito umano, per descrivere ed approfondire i fatti psichici particolari ed individuali ed i loro rapporti, l'indagine psicologica non è sufficiente perché non è scienza della natura unitaria profonda, della essenza dello spirito umano.
Bisogna quindi rifuggire da due opposte posizioni, da una parte dall'astrattismo della pedagogia che sia avulsa dalla realtà particolare di ogni giorno, avulsa cioè dall'indicazione e dei messaggi di carattere scientifico, e dall'altra parte del pragmatismo e di quella psicologia che pretende che un'azione educativa sia sganciata ed avulsa dai valori spirituali e dai valori filosofici.
Ancora una volta la soluzione è nella convergenza e nella sintesi che si fa in modo particolare nella personalità dell'educatore, nella sua posizione di fronte ai problemi educativi, per cui i vari aspetti filosofici e psicologici vengono insieme sintetizzati e portano quei lumi e quegli indirizzi che sorreggono ed illuminano il cammino dell'educatore.
Gli aspetti tecnici e psicologici hanno purtroppo a volte portato a dimenticare a loro volta l'aspetto filosofico: qualora si dimentichi nell'azione educativa quelli che sono i profondi e fondamentali problemi concernenti la natura dell'uomo ed i suoi fini, l'azione educativa si perde e si dissolve in uno scorrere senza scopo e senza orientamento. Per questa via si giunge ad un altro aspetto della crisi dell'educazione contemporanea: l'educazione ridotta a pura metodologia.
Ma si comincia, già, a ridimensionare il significato delle tecniche e dei metodi: si parla di spirito educativo e di mezzi, cioè si rivaluta l'atteggiamento interiore dell'educatore ed il valore dato ai metodi che l'educatore usa per arrivare allo scopo che si è prefisso. Infatti i metodi sono sempre dei mezzi nelle mani dell'educatore e da usare per gli scopi più svariati e quindi anche per scopi non veri, per manipolazioni e strumentalizzazioni.
In un certo senso potremmo affermare una `certa' neutralità dei metodi: nella storia della pedagogia metodi uguali sono stati impiegati per scopi diversi. Metodi e tecniche valgono per il fine per il quale vengono usati. Dunque è l'uso che se ne fa, che non è `neutro', ma politico.
Ed il problema dei fini è un problema filosofico. L'utilizzare i metodi da parte dell'educatore presuppone in lui originalità e razionalità. La sfiducia o la critica nei metodi è dovuta oltre che all'uso unilaterale degli stessi anche al fatto che, conosciuto un metodo, gli educatori sono tentati di percorrere quella via passivamente, e si crede che il metodo produca azione educativa di per se stesso, meccanisticamente; ogni educatore allora ripete quella data esperienza metodologica allo stesso modo, con la maggior fedeltà possibile, alle volte senza interiorità e senza aver vissuto quella esperienza in modo personale e creativo, come esperienza personale, di sé.
Si pensi, ad esempio, alla scuola attiva. L'aspetto tecnico dell'attivismo ad un tratto non ha prodotto quanto si sperava. Si sono operate delle revisioni. Ma, non è questione di revisione di metodi che a volte di per sé sono validi. Sono gli uomini, gli educatori da `rivedere' e ci si preoccupi che gli stessi responsabili dell'educazione non esigano dagli educatori una estrema e quasi assoluta identità alle impostazioni metodologiche date, togliendo ogni possibilità di apporto personali ed originali. Bisogna, cioè, che nella esplicazione delle linee educative, sia lasciato anzi sia richiesta ad ogni educatore quella libertà che gli permetta di rivivere in forma sincera e nuova la sua esperienza particolare, gli si permetta cioè di esprimersi nella libertà come uomo e come professionista. Purtroppo non c'è nulla di più avvilente e mortificante nell'educazione per l'educatore e l'educando stesso che il dover o voler quasi automaticamente applicare metodi e regole.
Sostanzialmente si dimentica la concezione completa ed organica della persona umana ed in cui, se alcuni determinati aspetti sono fondamentali per la costituzione della identità personale, altri sono altrettanto fondamentali come conclusione e come coronamento di questa costituzione e come sviluppo successivo. Una casa non è mai casa se ha soltanto delle fondamenta: non si può porre il tetto se non vi sono le fondamenta, ma una casa che abbia semplicemente le fondamenta è sempre una casa incompleta e che non si abita. Così ci possiamo trovare di fronte a personalità per le quali si fa un grande sforzo onde donare loro un certo equilibrio psichico, ma non si fa un altrettanto grande sforzo, dopo questa prima tappa, per promuovere una struttura intellettuale e volitiva che è, penso essenziale per la vita.
Mi è capitato, quando mi occupavo attorno al '60 di educazione specializzata a Villa Agnese, il caso di un ragazzo che era stato sottoposto a trattamenti e psicoterapie per lunghi anni (era stato ospite di un Istituto fino a circa 21 anni). E' stato riscontrata in lui, appena uscito dal clima ovattato dell'Istituto, l'assoluta incapacità di capire la realtà, di volere in relazione della medesima, l'assoluta incapacità di capire l'impegno del lavoro. E l'errore non fu certo degli psicoterapisti, i quali forse fecero bene quello che dovevano fare. Furono gli educatori a credere che fosse sufficiente una parte per il tutto
Operare sempre questa profonda saldatura fra i vari aspetti che concorrono all'educazione e sapere che gli educatori sono coloro i quali compiono quest'opera di completamento e di progresso, tanto più che, ad esempio, fra momento educativo e rieducativo non vi è soluzione di continuità e il `salto' è di natura più quantitativa che qualitativa.
L'inizio dell'azione educativa sta nel portare alla normalità, poi si continuerà dalla normalità alle successive evoluzioni. Il problema della normalizzazione dei soggetti attraverso trattamenti e procedimenti psicologici porta a far credere che, raggiunta la normalità, l'opera educativa sia terminata, mentre è proprio a questo punto che l'opera educativa si inserisce; in una personalità nella quale non si possa far leva almeno rudimentalmente su una volontà ed una intelligenza disponibili, poco può l'educatore, essendo il suo rapporto educativo un rapporto interpersonale che inizia da un rapporto e da un afflato di carattere affettivo ma che continua e si completa in un rapporto di carattere intellettuale e volitivo.
Paolo Marcon, Premesse ad ogni azione educativa, in Formazione e Politica, Roma, La Gogliardica,1979, pp. 209-223