Apprendere dall'esperienza



Apprendere dall'esperienza



Introduzione

La questione può essere fatta risalire all'origine stessa dell'umanità, come tante altre, soprattutto le più essenziali e vitali. Si potrebbe dire che si è operata, nel corso della storia, una alternanza di concezioni- quella caratterizzata dall'innatismo, dall' apriorismo, dal formalismo, dal deduttivismo e quella caratterizzata dall'a posteriori, dalla potenzialità, dalla formalità, dall'induttività.

Due punti. di vista differenti, solo due punti di vista differenti od una concezione differente della realtà? e della realtà uomo?

Se è pur vero che i due aspetti possono considerarsi come momenti differenti di un'unica realtà umana, cosmica e conoscitiva, tuttavia sembra non solo importante, ma essenziale e perfino pregiudiziale stabilire il "prius", il punto di partenza, il riferimento primo, la garanzia del nostro processo di scoperta di ciò che ci circonda e di ciò che accade attorno a noi.

Ed, oggi, di fronte alle stesse scoperte ed agli stessi progressi scientifici, di quale uomo è legittimo parlare e discutere? Per quale via l'uomo prende possesso di quanto sta oltre ed all'esterno di se stesso: cose, idee, sentimenti, ed altro?

Il punto di partenza

All'inizio dei tempi l'uomo cominciò col percepirsi come un tutt' uno con il grande ed immenso cosmo, forse stupefatto, meravigliato ed ammirato dalla grandiosità dell'universo che si apriva alla sua visione e contemplazione: ne dà testimonianza la riflessione dei filosofi naturalisti ionici presocratici.

Successivamente, dopo alcuni secoli, anche nel fervore dei dibattito politico e democratico, questo uomo cominciò a percepire che la sua realtà personale possedeva un'identità specifica nei confronti del grande universo nel quale esisteva, viveva e si muoveva.

E' stato, dunque, un fatto, un accadimento della storia che fu occasione e facilitazione di questa svolta nella conoscenza della realtà e nella acquisizione di capacità nuove circa i rapporti sociali e politici: il realizzarsi di un clima politico democratico nella greca città di Atene.

Era trascorso da un bel po' il periodo della pietra scheggiata, della produzione di "amilgdala", piccolo oggetto artigianale, utile assai per la vita quotidiana.

Quella primitiva pietra scheggiata in un certo modo e per un certo scopo, rivelava già del suo 'fattore" sia la componente materiale che quella immateriale ed il gioco che questi elementi ponevano nella conquista di nuove capacità e di nuove idee; ridurre la materia esterna all'uomo attraverso la materia interna, quella dell'uomo, ad un'idea interna ed esterna allo stesso tempo in quanto elaborata dall'uomo, ma intenzionalmente proiettata al di là del "fattore" stesso, rivelando l'esistenza, appunto, in questo processo di due elementi caratteristici sia del processo che del soggetto del processo stesso: un elemento immateriale che denominiamo intellettuale ed un elemento sensibile, percepibile, che denominiamo corporeo, materiale.

Da quella presa in considerazione della posizione privilegiata dell'uomo rispetto all'universo cosmico, deriva l'indagine sul conoscere, sull'apprendere.

Induzione e deduzione

Il dibattito è proseguito nei secoli senza sosta fra le due tendenze, più rassicurante, apparentemente, la linea che riconosce una presenza innata di contenuti da far riaffiorare e da far riemergere, apparentemente, poiché solo una posizione fideistica può essere di garanzia circa l'autenticità di tali conoscenze affidate ad un "puro" pensiero. Persino la fede nelle religioni rivelate poggia le sue fondamenta e la sua fondazione sulla testimonianza storica di un rivelatore. Laddove l'analisi dell'esperienza garantisce, almeno, l'autenticità del punto di partenza che è dato dall'esperienza stessa. Vero è che tramonta la pretesa di considerare l'azione educativa come applicatività di una normativa "astratta" di cui non si riesce a stabilire né origine, né garanzie o di dare colorazione pedagogica ad altre scienze e conoscenze, di cui l'educazione e la pedagogia debbono pur tener conto come, ad esempio, la filosofia o l'etica, ma che non la costituiscono in senso stretto e proprio.

La scelta dei "punto di partenza" è legata anche a differenti tipologie della personalità: personalità più sicure (pur in senso relativo) e meno rigide, più creative si affidano volentieri ai rischi, agli imprevisti, alla laboriosità delle analisi almeno inizialmente esperienziali, personalità più insicure e più rigide preferiscono le sicurezze (pur relative) offerte da procedimenti esclusivamente deduttivi.

Esperienza come metodo e valore

L'esperienza non è soltanto momento sostanziale e metodologico, attivo, di scoperta e di garanzia; è anche momento di verifica e regola del pensiero e dei processi intellettuali.

Se ciò vale per la elaborazione dei concetti più universali e dei valori fondanti una concezione della vita e della realtà, di una cultura, anzi della `cultura', tanto più ciò è valido allorché ci si inoltra nell'esplorazione del particolare, dello specifico legato, sia pur da vari punti di vista, alle vicende ed agli episodi della vita quotidiana.

L'uomo anche quando opera ed agisce, pensa, pur se inconsciamente.

Il pensiero è, tuttavia, molto più plastico delle cose; si può adattarlo a sé ed a come si vogliono vedere le cose, ma la realtà delle cose esterne, è quella che è, a prescindere dal soggetto pensante e dal suo pensare.

Tutto il problema sta pertanto in questa necessità, in questa esigenza di adeguare il pensiero a pensare la realtà com'è e non come `vorrei che fosse' o come 'ritengo che sia', o almeno ad avvicinarmi il più possibile a questa adeguazione.

A questo vaglio, a questa verifica, a questa regola dettata dall'esperienza e più precisamente dall'esperienza nella sua completezza di esperienza di tutta la persona (intellettualità e sensibilità ed altro ancora), tutto dovrebbe essere sottoposto nell'ambito della conoscenza e dell'apprendimento umano anche i procedimenti di ricerca e di conquista delle realtà metafisiche; la stessa conoscenza della verità non è mai immediata, ma è un lungo e laborioso, talora sofferto itinerario di ricerca, una lunga marcia di avvicinamento ...

Dall'esperienza personale all'esperienza dei colleghi

Per questa via, se seguita in assoluto, il raggiungimento di molte conoscenze, utili e forse necessarie alla vita umana ed all'esercizio delle professioni, sarebbe assai prolungato nel tempo e limitativo.

Acquisire informazioni, dati, conoscenze, concetti attraverso gli altri uomini ed attraverso gli altri professionisti è necessario anche in nome della partecipazione e comunitarietà sociale. Purché si tratti di elementi che sull'esperienza poggiano le loro basi ed il loro impianto, differentemente rischiano di essere "fantasie" con scarso riscontro con la

Per questo chi scrive dovrebbe scrivere un minor numero d'elucubrazioni, di giudizi, di affermazioni e dovrebbe esporre maggiormente la cruda e nuda realtà dei fatti, degli eventi, degli accadimenti.

Questa è la sfida che lanciamo con questo lavoro: si presenta una serie di fatti, di "casi", di "storie" che si snodano prevalentemente nel campo delle difficoltà e dei disagi di inserimento e di vita sociale.

L'invito è di scoprirne e rilevarne le incongruenze e le incompiutezze nella narrazione e di trarne i significati per comprendere la linea d'azione educativa attuata, e proporne una eventuale per il futuro.

Punto di partenza e punto di arrivo: non fare confusioni, non saltare i passaggi

E' il tentativo di sollecitare ed attuare l'appello di Jacques Maritain secondo il quale è erroneo pensare che tutto possa essere insegnato, mentre l'esperienza rappresenta un elemento indispensabile di conoscenza e di apprendimento.

Di rincalzo Jean Piaget sollecita l'attuazione di una educazione attiva per la quale il fine non consiste nel ripetere e conservare verità belle e fatte; una verità riprodotta non sarebbe che una mezza verità. Il vero scopo è di imparare a conquistare da sé la verità a costo di metterci tutto il tempo che occorre per passare attraverso i gradi intermedi impliciti in un'attività reale.

Indubbiamente, afferma lo stesso Piaget, è necessario arrivare all'astrazione, anzi ciò è dei tutto naturale; essa, tuttavia, deve rappresentare il punto di arrivo di una serie ininterrotta di azioni concrete anteriori.

In altri termini troppo spesso, l'educazione e la formazione ci impigriscono e ci educano al conformismo ed alla stereotipia; è necessario, attraverso una presa diretta, in prima persona, riconquistare il piacere della scoperta e dell'invenzione, dell'impegno e del rischio, della responsabilità personale.

Sarebbe necessario insegnare un po' meno attraverso la 'lezione" ed un po' (forse molto) di più attraverso l'esperienza e l'analisi dell'esperienza, anche di quella personale: si tratta, indubbiamente di una fatica maggiore, ma anche della conquista di una gran gioia, la gioia della creatività. In effetti, il "puro" pensiero in una vita scanditi dalla temporalità e dalla spazialità è fuori della realtà che è sempre connotata da un involucro di materialità attraverso cui penetrare nell'intimo delle concettualità.

Lo studio dei caso

In tale direzione va lo "studio dei caso" che consiste, come suggerisce la denominazione, nello studio approfondito di un caso individuale o di situazioni individuali, nel quadro delle scienze umane con il ricorso a storie specifiche come strumento di conoscenza del soggetto, in funzione di sviluppare un corretto intervento educativo.

La tecnica è stata perfezionata sullo scorcio del secondo conflitto mondiale dai ricercatori dell'Università di Harvard (U.S.A.), è stata utilizzata in grande misura dagli operatori dei servizio sociale e può essere definita come una tecnica attiva in quanto favorisce la partecipazione delle persone e comunicazione fra le stesse per contro a metodi che tendono ad insegnare in modo semplicemente ricettivo o passivo.

Le tappe da osservare per un corretto uso del metodo riguardano una sistematica raccolta dei dati, la loro analisi, l'elaborazione di un piano di intervento e la verifica dell'azione educativa conseguente. In un certo senso si rimanda all'anamnesi, alla diagnosi ed alla conseguente storia "educativa" del caso preso in considerazione.

Il metodo e la tecnica conseguente sono utilizzati, oggi, prevalentemente nel lavoro di équipe.

L'équipe non è una somma di persone, ma un gruppo psicosociale vivente ed in evoluzione dove ognuno offre l'apporto della propria competenza e della propria scienza, della propria esperienza e della propria tecnica, ma dove ognuno si impegna anche in prima persona attraverso un'azione complementare.

Accanto al ruolo tecnico, la relazione interpersonale gioca un ruolo essenziale che implica oltre alla formazione dei singoli ed un amalgama dell'insieme, lo stabilirsi di una serie di relazioni dei membri dell'équipe tra di loro, d'uno dei membri dell'équipe con il gruppo dei clienti affidatogli o con uno di essi, dell'intera équipe con questo stesso gruppo.

E' possibile distinguere una équipe educativa formata dagli educatori presenti nel servizio ed una équipe tecnica formata da professionisti delle varie professionalità operanti all'interno del servizio con una estensione medicosociale psicopedagogica.

Sui casi che si presentano all'attenzione dei lettore, si possono sollecitare due serie di riflessioni:
 

  1. riflessioni metodologiche sulla forma esteriore della presentazione dei casi;
  2. riflessioni di merito sulle questioni concernenti l'azione educativa svolta a favore della persona presentata nel caso e sulle questioni da porre circa le possibili soluzioni dei casi.

Si dovrà procedere esattamente all'inverso dell'usuale, non partire da una 'teoria" per interpretare l'esperienza; quanto piuttosto partire dall'esperienza (il caso) per giungere a formulare delle valutazioni, delle riflessioni, delle concezioni ed alla lunga, delle "cosiddette" teorie.

Poiché, tutto sommato, ed infine, è l'esperienza che fonda, giustifica e validifica la teoria.
In specifico:

A)

  1. Verificare la completezza dei dati anagrafici e l'ordine temporale e logico degli episodi presentati;
  2. verificare l'esistenza di una descrizione fisica della persona, soggetto della presentazione;
  3. verificare la completezza dei riferimenti e delle successioni temporali degli avvenimenti soprattutto relativi alle componenti familiari e parentali (fratelli, sorelle, zii, cugini, nonni, ecc.);
  4. verificare l'esistenza dell'indicazione delle aree geografiche o topografiche dì appartenenza dei protagonisti;
  5. la presentazione del nucleo familiare e parentale dovrebbe sempre precedere l'insieme della "storia' o del "caso", fornendo le notizie essenziali per proseguire con la presentazione delle vicende della situazione su cui porre l'attenzione, notizie che pure richiedono una scansione temporale che dovrebbe essere indicata con una sufficiente precisione;
  6. rilevare le lacune in generale nelle notizie e nelle informazioni di presentazione del caso;
  7. rilevare se la presentazione del caso assomiglia più alla relazione di `un' membro dell'équipe in una prospettiva parziale che una presentazione globale e più esaustiva da differenti angolature;
  8. le "storie" e i "casi" sono a volte basati su giudizi (uso di aggettivi, sostantivi, avverbi e verbi), verificare se siano suffragati dalla descrizione di fatti, così da non essere ritenuti gratuiti;
  9. gli stati affettivi ed emotivi hanno di solito, se non sempre, manifestazioni esteriori sensibili e corporee: verificare se sono segnalate e descritte.

B)

  1. Evidenziare la possibilità di soluzione di casi presentati in maniera differente o attraverso differenti servizi, anche. eventualmente da istituire; quali? In quali casi ed in quali situazioni?;
  2. ipotizzare possibili spiegazioni relative ai comportamenti dei soggetti presi in esame o rilevare gli aspetti positivi dei comportamenti degli stessi;
  3. esprimere valutazioni, in rapporto ai casi esaminati, circa il sistema adottivo ed affidatario, circa l'età di attuazione dei provvedimenti, circa gli interventi dei professionisti che del comportamento o delle aspettative delle coppie, che delle attività di `preparazione' dei minori che delle famiglie all'inserimento da parte sia dei servizi residenziali o di altri servizi, ed in generale circa il funzionamento sulle carenze ed i punti deboli dei sistema;
  4. trattamento o educazione: che se ne pensa? perché?;
  5. quale ruolo (positivo o negativo) potrebbero giocare eventuali possibili interventi da parte della cerchia parentale, ivi compresi fratelli e sorelle, rispetto alla maturazione della situazione e in rapporto agli interventi da parte degli educatori e specificamente di differenti servizi?;
  6. è possibile individuare l'azione svolta dagli educatori professionali, o dal complesso del servizio residenziale o diurno che sia? Oppure quale azione avrebbe dovuto essere svolta dagli stessi?;
  7. la violenza sessuale può bloccare lo sviluppo della sessualità? Se una giovane mostra un eccesso di 'seduttività', cosa significa e quale è il comportamento adeguato dal punto di vista educativo?

  8. In che modo e perché la figura maschile può essere compromessa da una violenza sessuale?
    Il disegnare, da parte di una giovane violentata, la figura maschile con le mani nascoste e con molte resistenze, cosa può significare?
    Se le giovani violentate raccontano le loro storie alle coetanee, come devono interagire gli educatori alle psicodinamiche suscitate?

    Quale sostegno offrire alla giovane vittima di violenza sia all'interno di un servizio residenziale, sia attraverso un servizio territoriale?;

  9. quali problematiche educative presenta la situazione in esame, così come possono essere desunte dalle notizie e dai dati offerti? Quali le possibili soluzioni?;
  10. evidenziare gli elementi desunti dalla `storia' del caso che spiegano il comportamento della persona di cui trattasi;
  11. quali possibili azioni educative e di sostegno sono da auspicare successivamente all'intervento educativo specifico di un servizio (residenziale, diurno, ecc.), anche eventualmente nei confronti delle famiglia?;
  12. quali riferimenti culturali ed etici vanno utilizzati per formulare una valutazione dei comportamento delle persone di cui gli educatori professionali sono chiamati ad occuparsi?;
  13. rilevare le influenze etniche e multietniche nell'evoluzione della maturazione sociale in alcuni casi; quali elementi possono influenzare differenti scelte culturali di due persone della stessa origine etnica o perfino un rifiuto pur se appartenenti alla stessa religione?;
  14. disagiate condizioni economiche = accoglimento in istituzione residenziale? Come valuti tal equazione?;
  15. qual è la funzione educativa? Stimolare, suggerire, aiutare, offrire occasioni di esperienza, o cosa altro?;
  16. prendersi cura dei componenti in età evolutiva di una famiglia significa o no assumersi delle responsabilità anche nei confronti del resto della compagine familiare?;
  17. riflessioni sui decreti di allontanamento dei T.M., i servizi educativi territoriali diurni, l'azione educativa di supporto e di sostegno degli educatori professionali;
  18. gli 'adulti" come risultano dalla presentazione dei casi;
  19. analisi dei sistema familiare e delle dipendenze reciproche dei vari membri, dipendenze di cui tener conto per sviluppare l'azione educativa.

L'educatore professionale e l'esperienza

I compiti educativi in generale sono quelli che tutto sommato ognuno esercita, consapevole o meno, sull'altro in ogni relazione e comunicazione sociale o quelli che esercita ogni corretto e buon professionista, soprattutto appartenente a professioni 'sociali" nell'esercizio della sua professione.
Nello specifico possiamo individuare una tipologia di educatore che è quella dell'educatore naturale, il genitore o di un altro educatore professionista, l'insegnante.
L'educatore professionale o ha una sua caratteristica specifica o non ha ragione di esistere come professionalità autonoma. Se si legge la definizione data dalla "famosa" commissione ministeriale attorno agli anni Ottanta, ci si accorge facilmente che questa specificità è piuttosto incerta.
Occorre rifarsi alla definizione internazionale per poter avere una sottolineatura precisa degli specifici elementi:

  • la partecipazione alla vita quotidiana;
  • l'intervento educativo nell'ambito delle persone in difficoltà specifiche ed a rischio di insorgenza delle difficoltà, cioè la prevenzione generale, sociale (primaria), tenuto conto che tale rischio va sempre più diffondendosi ed allargandosi e che la prevenzione sociale riguarda potenzialmente la popolazione nella sua consistenza globale;
  • la partecipazione all'azione educativa dell'ambiente sociale, sono caratteristiche condivise con altri educatori professionali, quali ad esempio, gli insegnanti, anche se in contesti, con contenuti e metodologie differenti.

Ma, appunto, la differenziazione sta proprio in questo `umile', ma `preziosissimo' aiuto d'accompagnamento nell'ambito di quella vita quotidiana che rappresenta il tessuto connettivo delle attività ritenute le più importanti della giornata "studiare, lavorare, produrre...".

E' pur vero che non si sottolinea mai sufficientemente la concezione antica e quindi nuovissima, anzi futuristica della coeducazione, cioè dell'educazione come `aiuto ad aiutarsi' che ritroviamo `in nuce' nel- la maieutica socratica, ma che si esplicita pienamente nella scolastica tomistica, seguendo il paragone del rapporto fra medico, malato, malattia e natura, ove il medico (agit nisi adiuvando), come ministro della natura, la aiuta a guarire la malattia e a dare sanità al malato.

Rifacendosi alla natura, Amos Komenskj, agli inizi dei XVII secolo, scrivendo in ceco, ma traducendo la sua opera in latino per una migliore circolazione europea, si potrebbe supporre, data la non simpatia per la romanità, essendo egli un pastore evangelico hussita, annuncia, per induzione, alcune regole dell'azione educativa: la gradualità, la continuità, l'interiorità, il tempismo, la contrattazione, la finalizzazione e la programmazione, l'individualizzazione, la globalità, l'ottimismo e la positività.

Da qualche tempo la denominazione europea corrispondente a quella di educatore professionale, si è trasformata da educatore specializzato in educatore sociale, pur se con differenti significati nei differenti paesi: nel gruppo francofono più aderente alla precedente denominazione di educatore specializzato, cioè di educatore finalizzato all'educazione non formale delle persone in difficoltà ed alla prevenzione specializzata (secondaria e terziaria, prevenzione della recidività e della cronicità); nel gruppo germano-anglofono con un significato più ampio di operatore sociale a favore della gioventù e della comunità con larghe ed ampie funzioni di prevenzione primaria, generale e sociale.

E' così che, in un certo senso, si è passati a trasferire la pedagogia speciale che contiene non soltanto una riflessione sull'educazione formale (scolastica), ma anche non formale (extrascolastica), rivolta alle persone con specifiche difficoltà (esistono, soprattutto oggi, persone che in fase di crescita e di sviluppo non incontrino difficoltà anche rilevanti in un momento storico in cui vivere è difficile e disagevole, soprattutto in maniera corretta e positiva? Chi fra coloro che abbiano profondo il senso dell'uomo, non avverte disagio profondo e difficoltà a vivere in questa società che dopo tanto progresso tecnologico ed economico presenta ancora episodi macroscopici di inaudita violenza, di esercizio crudele del potere, e di spregiudicato uso della ricchezza?) alla pedagogia sociale che, in certo senso, accosta le problematiche dell'educazione non formale delle persone con difficoltà specifiche, alle problematiche dell'educazione degli adulti, della formazione professionale, dell'educazione rispetto al tempo libero. Infatti finalità della pedagogia sociale (tenuto conto che ogni attività educativa è assieme personale e sociale) è di realizzare un retto ed ordinato rapporto tra la persona ed il suo ambiente o gruppo sociale in modo che essa ci si trovi a suo agio e fornisca la pienezza della sua collaborazione. Questa finalità presenta una sua complessità se si consideri la distanza esistente fra un ideale progettuale minimale per un corretto rapporto sociale e l'inaccettabile modalità dei rapporti sociali di una società che si ritiene, ma non è, avanzata: un disadattamento cosciente e funzionale nei confronti di una manifestazione storica della società, è d'obbligo per una persona che desideri rispettare la propria dignità.

Al di là delle classificazioni, ciò che conta veramente è l'avere il senso delle continuità e caso mai delle ulteriorità fra la pedagogia e `le' pedagogie, fra l'educazione e `le'educazioni, nella consapevolezza della loro differenzialità quantitativa e non tanto qualitativa.

Questo educatore ha, in certo senso, antenati illustri: da Vittorino da Feltre del XV sec. a Filippo Neri e Giovanni Bosco; da lord Robert Baden Powel a Edmund Rice, a Janus Korkzak, ad Anton Semeniovich Makarenko, a Tomaso Pendola ed Augusto Romagnoli; ed ha una cultura massiccia alle sue spalle che ne sorreggono il camnino e l'attività: dall'epoca di G.G. Rousseau, di Giovanni Enrico Pestalozzi, di Federico Gugliemo Augusto Froebcl, dalle esperienze di Leone Tolstoj, all'educazione attiva di Edoardo Claparède ed Adolfo Ferriére verso le riflessioni di Paolo Natorp, di Giorgio Kerschensteiner ed Emilio Durkheim, si individuano un'esplosione di problematiche che riguardano l'educazione sociale e non formale, in certo senso, l'educazione attraverso la vita quotidiana.

E'l'esito positivo della rivoluzione copernicana dell'educazione fra il XVII e XIX secolo ove lo stesso avanzare della scienza medica e il nascere della scienza psicologica sperimentale ha aperto orizzonti più vasti all'azione educativa sia in senso formale che in senso informale.

Un'attenzione ed una cura specifica va data alla formazione di base di questo operatore sociale: l'educatore professionale, della quale due elementi sembrano essenziali da sottolineare.

Per l'implicazione del professionista in prima persona nell'attività di accompagnamento lungo l'arco della giornata della persona affidata alla sua attenzione, indispensabile è:

  1. una formazione attraverso l'esperienza;
  2. una formazione di sé.

Una formazione di base che necessita continuamente di verificarsi e mantenersi a livello, e nutrirsi nella formazione continua durante il lavoro.

Paolo Marcon, Apprendere dall'esperienza, in *Caso non per caso, a cura di Sabrina Margaglione, Patrik Sean Moffett (CFC), Antonio Romano, Roma, CISU, 1999, pp.127-139